La neurostimolazione è una tecnica che consiste nella stimolazione di potenziali di azione a livello delle cellule nervose. La differenza di potenziale a livello della membrana della cellula nervosa è pari a un valore medio di -70 mV ed è dovuta alla differenza della concentrazione ionica intra ed extra cellulare.

Per eccitare la membrana della fibra nervosa, vale a dire provocare la comparsa di un potenziale di azione sulla superficie, è sufficiente modificare il potenziale di riposo fino a un determinato valore soglia, in media pari a - 50 mV. Raggiunto questo valore soglia, la membrana passa dallo stato di riposo a quello di attività.

Si manifesta un potenziale d'azione che si sposta lungo la fibra nervosa verso le strutture muscolari periferiche per ordinare una risposta meccanica oppure verso le strutture nervose centrali per trasmettere loro delle informazioni sensitive.

  

ELETTROSTIMOLAZIONE

Oggi, nonostante l'elevato numero di infortuni, la maggior parte degli atleti riesce a recuperare in tempo brevi, malgrado gli esigui margini a disposizione. Per una lesione meniscale, tre settimane sono spesso sufficienti per poter essere di nuovo in partita, nonostante l'infortunio e il relativo intervento chirurgico! E due, tre giorni di tempo sono la normalità per il recupero dopo "contratture" muscolari.

Tempi impensabili, se non si avesse la possibilità di utilizzare la stimolazione elettrica quale supporto di base dell'intervento riabilitativo più globale, come da tempo avviene in molte società.

Basta osservare, ad esempio, che 20 minuti di stimolazione, fatti con un'apparecchiatura che ne rispetta le due leggi fondamentali (i generatori di corrente costante), danno un incremento alle capacità muscolari che corrisponde a quello che si avrebbe con 1500 ripetizioni naturali, sotto sforzo massimale. Questo senza creare i tipici problemi da sovraccarico delle articolazioni e permettendo di lavorare, già da subito, quando nessun mezzo di lavoro naturale è utilizzabile.

In diversi centri ospedalieri europei l'elettrostimolazione prodotta da generatori di corrente costante (vedremo più avanti quali siano le loro caratteristiche) è oramai routine, e viene applicata già dal giorno dell'intervento chirurgico, come ad esempio nella Clinica Universitaria di Parigi.

Gli ottimi risultati evidenziati dalla casistica dimostrano l'efficacia di tale metodo sia sulla forza, che sui volumi muscolari, e contemporaneamente escludono eventuali danni al paziente.

Altri protocolli confermano la validità della stimolazione antalgica (contro il dolore) o di quella decontratturante.

Prima di utilizzare una qualsiasi corrente dobbiamo domandarci quali sono i possibili effetti che può avere sull'organismo umano. Alcuni saranno desiderabili, altri invece da evitare assolutamente.

Gli effetti di base di una corrente sono tre:

- la ionizzazione (effetto galvanico) è una migrazione di molecole tra un elettrodo positivo e uno negativo, da cui viene emessa una corrente continua;

- l'ustione (bruciatura) è un fenomeno noto a chiunque;

- l'eccitazione (movimento visivo) è il fenomeno che ci interessa maggiormente e pertanto sarà questo l'aspetto di cui parleremo più diffusamente.

L'applicazione della ionizzazione più conosciuta è la iontoforesi (o ionoforesi), che viene utilizzata per introdurre particolari farmaci senza metodi invasivi.

E' anche particolarmente discussa per i risultati contrastanti che si ottengono; è comunque soggetta a numerosissimi fattori che influiscono sulla sua efficacia. Diverse sono le controindicazioni, la principale è la presenza di mezzi di osteosintesi, come, per esempio, placche metalliche che verrebbero "sfaldate" dalla corrente.

Un'altra caratteristica negativa, che va evitata accuratamente, è quella di ustioni chimiche della pelle, derivanti da un accumulo elevato di soda caustica su uno dei due elettrodi.

L'utilizzo di una corrente, per provocare un'ustione elettrica, può non essere necessariamente negativo, come nel caso del bisturi elettrico (si tratta di un'apparecchiatura che viene sfruttata dal chirurgo per poter recidere i tessuti durante un intervento); sarà comunque uno degli effetti da evitare in una stimolazione elettrica eccitomotoria.

  EFFICACIA E SICUREZZA

I due aspetti fondamentali che contraddistinguono un'apparecchiatura che stimoli elettronicamente in modo corretto sono:

- la sicurezza

- l'efficacia

Da questi due punti deduciamo che in una stimolazione che debba sortire un effetto eccitomotore, la preoccupazione principale sarà quella di evitare, accuratamente, sia la ionizzazione dei tessuti sia l'ustione.

Per efficacia si intende, nel nostro caso, la capacità di eccitare le cellule nervose che trasporteranno l'impulso elettrico alla placca motrice, che a sua volta trasmetterà la reazione (definita potenziale d'azione) alle fibre muscolari. Per far ciò si dovrà rispettare la prima legge fondamentale dell'elettrostimolazione: la Legge di Lapique.

Per poter essere sicura la stimolazione dovrà essere prodotta con i parametri elettrici a valori minimi. I due principali parametri da tener presente saranno infatti l'intensità (I) e il tempo (t). Da ciò consegue che la forma geometricamente ideale è un'onda rettangolare (o quadra). Qualunque modifica dell'impulso toccherebbe uno dei due parametri.

Ci sono altri approcci matematici a questo problema, che dimostrano che, comunque, l'impulso ideale è quadro. Pertanto sono discutibili tutte le altre forme geometriche di un impulso elettrico che debba eccitare una cellula.

Tre tipi di onda elettrica (quadra, sinusoidale e triangolare).

Solo la prima garantisce la quantità (con i due parametri I e t) con i valori minimi.

  TIPI DI CELLULE ECCITABILI

Le cellule eccitabili del corpo umano sono di due tipi:

- muscolari

- nervose

Le cellule nervose sono la via ideale di stimolazione sia in quanto "via naturale", sia poiché occorre meno tempo e meno energia per eccitare la cellula nervosa rispetto a quella muscolare. Una contrazione muscolare non nasce infatti a livello locale, ma cerebrale, percorrendo quindi tutto il nervo neuromotorio e trasmettendo poi questa "carica" alla fibra muscolare.

    TIPI DI CORRENTE

I tipi di corrente utilizzabili sono essenzialmente due:

- continue

- pulsate

Quella continua non è nient'altro che una corrente di qualunque intensità che, se rapportata al tempo, dà un valore diverso da zero. Procura sicuramente un effetto di ionizzazione (effetto galvanico) che dovrà essere accuratamente evitato.

I due principali parametri elettrici da tener presente saranno infatti l'intensità (I) e il tempo (t). Se l'intensità (I) proseguirà per un tempo illimitato (t) la risultante della divisione I/t darà valore diverso da zero, con il conseguente effetto galvanico assicurato.

Il "trucco" per evitare un effetto di ionizzazione è quello di utilizzare una corrente per un dato tempo e poi interromperla, ma ad una intensità di valore positivo si dovrà immediatamente farne seguire una di uguale valore negativo per compensare e permettere che la divisione intensità/tempo (I/t) dia un risultato pari a zero. Si evita così il pericolo della ionizzazione.

  LAVORO NATURALE E STIMOLAZIONE ELETTRICA

Prima di parlare del meccanismo che entra in gioco a mezzo di una corrente elettrica, dobbiamo rispolverare alcuni concetti inerenti al lavoro muscolare naturale. Cercando di capire che cosa avviene in natura, potremo trovare la relazione che c'è tra i vari parametri elettrici e la contrazione e quindi con l'allena­mento muscolare.

Il movimento muscolare, infatti, è la conseguenza del percorso di una "carica elettrica" che, partita dal cervello, passa attraverso il midollo spinale e il nervo neuromotorio; quest'ultimo si comporta come un cavo elettrico ed è composto da tanti piccoli "fili" più sottili, i motoneuroni. Ognuno di questi è collegato ad un insieme di fibre muscolari (da 5 a 2000 circa).

Quando la carica arriva alle fibre collegate a quel singolo motoneurone, si innesca un meccanismo biochimico, conosciuto da tutti i preparatori atletici, che permette la "contrazione" delle fibre stesse, con il conseguente movimento dell'articolazione.

Di fatto ci si trova davanti ad un fenomeno paragonabile a quello che avviene in una fila di birilli. E' sufficiente far "cadere", grazie all'impulso dato da una carica elettrica, un qualunque birillo della fila perché, inevitabilmente, quello adiacente cada a sua volta innescando una reazione a catena.

Questa carica elettrica viene chiamata potenziale d'azione (P.A.), e la sua trasmissione lungo il singolo motoneurone eccitazione saltatoria. Sempre seguendo questa metafora comprendiamo che occuparci di quanto sia la carica nell'unità di tempo è veramente determinante.

Non sarebbe possibile far cadere un birillo se non utilizzassimo almeno una data quantità di esplosivo (Q) in un dato tempo (t).

Non è però necessario usare la quantità occorrente a far saltare il birillo, ma quella sufficiente a far portare lo stesso a quel punto di confine tra l'equilibrio e la caduta: superato quel punto di non ritorno, magari anche minimamente, questo cadrà sicuramente, senza bisogno di apportare ulteriore quantità di carica.

Il momento in cui cade il birillo rappresenta il punto di non ritorno tra lo stato di riposo (potenziale di riposo) e quello di eccitazione di un punto del motoneurone, e si definisce inizio del potenziale di azione (I.P.A.).

L'obiettivo dell'elettrostimolazione eccitomotoria è quindi quello di:

apportare una determinata quantità di corrente in una data quantità di tempo, per ottenere l'inizio del potenziale di azione di un qualunque punto dei motoneuroni che sono collegati alle fibre muscolari che si intende far lavorare/allenare.

 Ciò sarebbe relativamente facile da ottenere con una apparecchiatura che emetta quella quantità/tempo prevista, se non ci fosse una complicazione derivante da un fenomeno tipico di qualunque circuito elettrico, l'impedenza o resistenza. Le varie cellule che compongono i vari tessuti che si interpongono tra l'elettrodo dell'apparecchiatura e il motoneurone da stimolare compongono un circuito elettrico a tutti gli effetti, che opporrà quindi resistenza al passaggio del campo elettrico.

Per cui, anche nel caso in cui dagli elettrodi sia partita la quantità/tempo giusta, una volta attraversati i vari tessuti, al motoneurone non arriva tutta, ma solo la parte di "Quantità" non "trattenuta". Non cadono più quindi i famosi birilli, o meglio, in qualche caso cadono occasionalmente ottenendo effetti non produttivi.

Si pensi, come similitudine, a una corrente d'aria che debba aprire una porta a molla e riempire in un dato tempo un locale. Se la Quantità di aria nell'unità di tempo non è quella dovuta, o non si riesce ad aprire la porta, oppure otterremo delle aperture parziali, senza riuscire a riempire il locale nel tempo dovuto.

Si deve utilizzare un impulso elettrico COMPENSATO, onde evitare fenomeni di IONIZZAZIONE DEI TESSUTI. Ciò permetterà l'impiego dell'elettrostimolazione anche in presenza di mezzi di osteosintesi.

Ci si deve attenere al fedele rispetto dei PARAMETRI ELETTRICI:

• la durata dell'impulso deve essere uguale alla cronassia del nervo neuromotore da trattare (da 150 a 400 microsecondi);

• il tempo di ingresso dell'impulso deve essere immediato, per cui si deve utilizzare un onda perfettamente quadra, bifasica, e come già detto compensata;

• la frequenza dovrà corrispondere al reclutamento temporale del tipo di fibra che va trattata.

FREQUENZE MEDIE DELLE FIBRE

FIBRA II m - 100 Hz (fibra esplosiva)

FIBRA II b - 30/75 Hz (fibra forza/velocità)

FIBRA II a - 20/50 Hz (fibra intermedia)

FIBRA I - 8,4/35 Hz (fibra lento/resistente)

     CRITERI DI INTERVENTO

I criteri di intervento sono dettati da alcune considerazioni:

• quale muscolo/i deve essere trattato;

• in quale fase di amiotrofia ci troviamo;

• il tipo di attività del soggetto;

 il tempo a disposizione per la singola seduta;

 il numero di sedute settimanali che è possibile effettuare;

• la presenza di algia e/o contrattura o altre situazioni condizionanti. 

LA POSIZIONE DEGLI ELETTRODI

 

 

 

La posizione degli elettrodi è l'elemento fondamentale per la buona riuscita di una elettrostimolazione o per spiegare un risultato parziale o nullo. Tra i due elettrodi si instaura infatti un campo elettrico con una forma che si avvicina ad una mezzaluna. L'obiettivo sarà quello di fargli attraversare la zona della placca motrice, cioè il punto dove i vari motoneuroni si innestano nel muscolo stesso. Ciò perché il nervo neuromotorio è ricoperto di mielina — sostanza isolante, anche se non in assoluto — e si preferisce quindi lavorare nell'unica zona che non ne è ricoperta, la placca motrice.

Spesso, anche in ambienti molto qualificati, mi capita di trovare tecnici che utilizzano posizioni non troppo ortodosse. A ciò può essere legato un eventuale insuccesso di un ciclo di elettrostimolazione. Normalmente l'elettrodo positivo va posizionato in prossimità della placca motrice. La sua dimensione, quando possibile, deve essere di un terzo della superficie dell'elettrodo negativo, che andrà invece posizionato sull'estremità opposta del muscolo stesso.

L'adeguata connessione tra elettrodo e cute è un altro aspetto fondamentale. La superficie di contatto, infatti, non è mai piana, per cui bisogna utilizzare un ottimo gel di conduzione, eventualmente supportato da uno spray. Il comfort durante la stimolazione è legato alla qualità della conducibilità elettrodo/cute. Nelle zone in cui l'elettrodo non appoggia perfettamente sulla pelle, l'aria o il pelo si interpongono creando un isolamento parziale al passaggio di corrente. La corrente si concentrerà quindi sui punti di contatto e non su tutta la superficie in maniera omogenea. Questa è la spiegazione della sensazione di puntura che a volte si avverte in prossimità dell'elettrodo. Sensazione che sparirà non appena l'elettrodo verrà fissato alla pelle in modo adeguato, anche grazie ad una corretta distribuzione sulla superficie di contatto di gel e spray conduttivi. In caso di presenza di pelo abbondante, tali sostanze dovranno essere distribuite soprattutto sotto lo stesso (il pelo è un discreto isolante!).

Un altro problema è rappresentato dagli angoli dell'elettrodo che tendono a rimanere sollevati se vengono bloccati da cinghie elastiche piuttosto che da cerotti che ne racchiudono bene i bordi.

    LE FASI D'INTERVENTO

L'elettrostimolazione eccitomotoria sarà essenzialmente divisibile in tre fasi principali di intervento che utilizzeranno programmi:

- di prevenzione di Amiotrofia;

- di trattamento di Amiotrofia;

- di rafforzamento muscolare.

In ognuno di questi programmi si dovrà tener presente il comportamento delle diverse Fibre muscolari. Il comportamento delle fibre muscolari, non è omogeneo. Per esempio, in caso di inattività muscolare, la fibra che maggiormente perde capacità è la Fibra I (fibra lenta e resistente). E' inoltre importante sapere che, in caso di ripresa del lavoro muscolare, è anche il tipo di fibra che migliora le sue caratteristiche più lentamente. Per cui, in questo caso, i programmi di lavoro dovranno prevedere la maggior quantità di lavoro con frequenze che rispettino il Reclutamento Temporale ottimale delle fibre di questo tipo, cioè dagli 8 ai 45 Hz circa.

è dunque la frequenza di stimolazione che condiziona principalmente il risultato a favore della forza/velocità e a scapito della resistenza o viceversa.

    REGOLAZIONE DELL'INTENSITÀ

L'intensità della stimolazione sarà invece direttamente proporzionale alla Profondità del campo elettrico, e quindi al numero di motoneuroni attraversati. E' chiaro che ad un maggior numero di motoneuroni interessati, corrisponderà la contrazione di più fibre muscolari, e quindi un migliore "allenamento".

In merito a questo aspetto vi sono alcune interpretazioni che non condivido che vorrebbero attribuire all'intensità (che rimarchiamo, corrisponde al numero di unità motorie interessate alla stimolazione) la funzione rappresentata invece dalla frequenza.

    DURATA DEL TRATTAMENTO

Il tempo minimo per seduta va da 20 minuti circa a qualche ora al giorno, in rapporto alla situazione soggettiva e all'obiettivo da raggiungere, oltreché al tempo a disposizione. Personalmente, in casi limite — atleti che richiedevano il rientro in tempi brevissimi dopo un intervento chirurgico o un infortunio grave — con appositi programmi abbiamo stimolato anche 3/4 ore al giorno, per alcune settimane di fila. Il tutto senza inconvenienti particolari, ad esclusione, in alcuni casi, di un abbondante accumulo di lattato i primi giorni di trattamento.

Il numero di sedute settimanali varia a seconda della motivazione del soggetto e della gestione delle altre attività quotidiane. E' comunque consigliabile, nella fase di carico di lavoro, stimolare almeno tre volte alla settimana, per almeno tre/sei settimane. E' chiaro che queste sono indicazioni di massima, che possono essere modificate in rapporto alle differenti esigenze.

    QUANDO USARE L'ELETTROSTIMOLAZIONE ECCITOMOTORIA

L'elettrostimolazione eccitomotoria sarà utilizzabile sia nei casi di infortunio vero e proprio (laddove una temporanea immobilizzazione di un'articolazione porterà ad un deficit muscolare), sia per attuare una vera e propria opera di prevenzione, rafforzando i distretti muscolari preposti alla protezione dell'articolazione soggetta ad infortunio. In proposito, sono particolarmente significative, ma non uniche, le esperienze sul quadricipite femorale (soprattutto sul vasto mediale n.d.a.), muscolo preposto alla protezione del ginocchio e al corretto posizionamento della rotula. Poco sfruttato, ma di vitale importanza nel calcio, è invece il rafforzamento del muscolo peronale, preposto alla stabilità della caviglia, che in seguito a infortunio e al relativo inutilizzo temporaneo, perde fino al 90% delle sue capacità in circa 10 giorni. Tale muscolo richiede comunque programmi di stimolazione diversi, con frequenze idonee per le fibre della Forza (75/85 Hz). Esperienze recenti sembrerebbero dimostrare che, a differenza degli altri mezzi di allenamento della Forza, non si presenti come vincolante la necessità di un periodo di trasformazione. L'elettrostimolazione, comunque, è soprattutto un valido mezzo di allenamento muscolare, non invasivo, che utilizza una via naturale e fisiologica, senza creare problemi quali le patologie da sovraccarico. Gli incrementi di Forza che può fornire per unità di tempo sono nettamente superiori a qualunque altro mezzo allenamento. E' chiaro che ciò non significa che debbano essere abbandonati gli altri lavori, in quanto l'elettrostimolazione non può sostituire il coordinamento muscolare, l'attività propriocettiva, la mobilità articolare ...

IL RAFFORZAMENTO MUSCOLARE

Dobbiamo precisare che per rafforzamento muscolare intendiamo un aumento della forza di un muscolo avente un volume normale o quasi. Questi programmi non sono adatti quindi al trattamento di una amiotrofia. Sono invece utilizzabili per ottenere:

- un guadagno di forza dei muscoli che, precedentemente amiotrofizzati, hanno ritrovato il loro volume grazie all'elettrostimolazione, con i programmi di trattamento dell'amiotrofia;

- un guadagno di forza su quei muscoli che, in seguito ad un intervento chirurgico o ad una lunga immobilizzazione, hanno mantenuto una troficità quasi normale con i programmi di prevenzione di amiotrofia;

- un rafforzamento dei muscoli peroneali nella prevenzione e nel trattamento delle distorsioni della caviglia;

- uno sviluppo della forza dei muscoli delle spalle che intervengono nella contenzione della testa dell'omero, per trattare o prevenire la lussazione della spalla;

- lo sviluppo della forza nello sportivo.

Su ognuno dei programmi lavoreremo con tre sequenze:

- la prima stimolerà con una bassa frequenza per fibre lente, che non produce una fusione degli stimoli; serve quale riscaldamento muscolare.

- La seconda è il lavoro vero e proprio. Viene effettuato attraverso un'alternanza di contrazione-recupero passivo. Contrazioni tetaniche, con frequenze di tetanizzazione delle fibre veloci, vengono alternate a fasi di riposo totale della durata pari almeno al doppio di quella di contrazione.

- La terza corrisponde ad un defaticamento muscolare.

L'ideale sarebbe aumentare l'intensità del reclutamento spaziale ogni 3/4 contrazioni (il paziente può sopportare intensità superiori a quanto si possa immaginare). Il tecnico gioca un ruolo determinante nel tranquillizzare il paziente e portarlo a lavorare con valori di contrazione i più elevati possibile.

Bisogna raggiungere delle intensità elevate, circa i 3/4 del massimo teorico, per poter avere il reclutamento spaziale del maggior numero di fibre disponibili, condizione essenziale, questa, per ottenere un trattamento efficace.

 COSA VUOL DIRE

Cronassia:      tempo occorrente ad un'intensità di corrente per raggiungere il valore doppio della reobase.

Frequenza: numero di episodi nell'unità di tempo. In una corrente è il numero di impulsi, in un secondo (Hz).

Impedenza (o resistenza): grandezza che permette di misurare la resistenza dinamica che si oppone al passaggio di una corrente elettrica.

Impulso: singola unità di una corrente elettrica che viene periodicamente interrotta nella sua emissione. Per evitare galvanizzazione ad un' intensità positiva deve seguirne una di identico valore, ma negativa.

Motoneurone: è la parte elementare di un nervo neuromotorio che inizia dalla colonna vertebrale e prosegue fino alla fibra muscolare.

Nodi di Ranvier: interruzione, a intervalli regolari, di uno o due millimetri, della guaina di mielina del nervo (ogni Nodo corrisponde al "birillo" citato nell'articolo.

Placca motrice: punto in cui le parti terminali del motoneurone si inseriscono nel muscolo.

Potenziale d'azione: è la "carica elettrica" che si propaga lungo il motoneurone e, poi, lungo la fibra muscolare, provocando il movimento del muscolo.

Reobase: è l'intensità minima di corrente necessaria per eccitare una cellula.